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Italia in bilico tra ripresa e recessione. Il Centro Studi Confindustria conferma la sostanziale stagnazione dell’economia italiana, già delineata nelle previsioni di primavera.
Più che in passato, molto dipenderà dalle scelte di politica economica e in particolare da come il parlamento italiano modificherà l’attuale legislazione, che prevede un aumento dell’IVA e delle accise per 23,1 miliardi di euro a partire dal 1° gennaio 2020.
In uno scenario a “politiche invariate”, includendo il rialzo di IVA e accise e le spese indifferibili, il PIL rimarrà fermo non solo nel 2019 ma anche nel 2020.
Se invece l’aumento delle imposte indirette venisse annullato e finanziato interamente a deficit, il PIL crescerebbe dello 0,4 per cento nel 2020, ma il rapporto deficit/PIL sarebbe pericolosamente vicino al 3 per cento, retroagendo sulla crescita: rimarrebbe al di sotto di questa soglia solo se i risparmi acquisiti dal minor utilizzo di Quota 100 e Reddito di cittadinanza andassero interamente a riduzione strutturale del deficit. Nelle intenzioni del Governo – rappresentate nella Nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza (NaDEF) di inizio ottobre – malgrado la sterilizzazione degli aumenti IVA, il deficit sarà al 2,2 per cento del PIL. Spetterà al disegno di Legge di bilancio specificare esattamente le coperture.
L’economia italiana, quindi, è ancora sulla soglia della crescita zero, rischiando di cadere in recessione in caso di eventuali nuovi shock, che soprattutto dal fronte estero sono sempre possibili, come mostra l’elevatissimo grado di incertezza oggi presente sui mercati.
Diversi fattori hanno frenato nel corso di quest’anno l’economia italiana e continueranno presumibilmente a pesare negativamente sulla crescita.
Primo, vi è un minor apporto ai consumi delle famiglie da parte del Reddito di cittadinanza (Rdc); le domande pervenute sono state molto inferiori alle attese e potrebbero esserci alla fine di quest’anno 200mila nuclei beneficiari in meno.
Secondo, il rallentamento in Germania è più profondo e duraturo di quanto atteso; le difficoltà tedesche, specie nel settore automotive, hanno avuto ricadute importanti sulla produzione dell’industria italiana per i forti legami tra le manifatture dei due paesi; incidono anche sulle esportazioni italiane, sebbene nell’ultimo anno queste abbiano fatto meglio di quelle tedesche, per una serie di fattori settoriali e geografici analizzati più avanti (Grafico A).
Terzo, la fiducia in Italia è su livelli molto ridotti, e ciò spinge imprese e famiglie a una gestione più parsimoniosa dei propri bilanci; la flessione è stata più marcata per le imprese manifatturiere che tra le famiglie; la ricostituzione della fiducia è un fattore cruciale per creare le condizioni per la crescita.
Quarto, sarebbe significativo l’impatto di un aumento dell’IVA delle dimensioni oggi previste dalla legge; questo, infatti, genera effetti negativi sulla spesa delle famiglie e sugli investimenti privati perché, nella realistica ipotesi di una traslazione parziale sui prezzi finali, si traduce in un’erosione sia del reddito disponibile sia dei margini delle imprese. Giocano, invece, positivamente due aspetti.
Primo, la percezione di un approccio diverso nei confronti dell’Europa e la conseguente flessione dei tassi sul debito sovrano. Il forte calo dei rendimenti sui titoli di Stato che si è avviato da giugno favorisce l’attività economica, perché agevola il credito, oltre a contenere la spesa pubblica per interessi. Senza questo fattore favorevole, lo scenario CSC avrebbe incluso una piccola recessione nel 2020. Al calo dei tassi italiani ha contribuito la brusca inversione di rotta, appunto da giugno, nella politica monetaria decisa dalla Banca Centrale Europea, dato l’aumento dei rischi al ribasso per l’economia. Un simile scenario negli USA ha indotto un’analoga virata monetaria. Nel biennio di previsione, perciò, non ci sarà una normalizzazione, di cui si discuteva ancora in primavera. Crescerà, invece, lo stimolo monetario all’economia, con la FED che taglia i tassi di interesse e la BCE che riparte con gli acquisti di titoli pubblici e privati.Su tale tendenza si è innestato un miglioramento dei giudizi sul nostro Paese tra gli investitori, cui ha contribuito la formazione di un Governo di stampo maggiormente europeista. Tra il 9 agosto e il 4 settembre i tassi italiani sono calati di 100 punti base, mentre ad esempio quelli spagnoli e francesi solo di 10 punti.
Secondo, una elevata capacità di adattamento delle imprese localizzate in Italia ai mutati scenari internazionali, che continua a sostenere l’export più della dinamica della domanda mondiale. Si registra un’espansione decisamente più bassa del commercio mondiale rispetto a quanto si stimava nei mesi precedenti, a causa delle accresciute tensioni protezionistiche (specie tra USA e Cina) e dell’incertezza geoeconomica, che oggi è giunta su livelli record, con focolai in diversi paesi (Regno Unito, Iran, Venezuela, Libia, Argentina). In questo contesto, l’export italiano rimane un fattore positivo, grazie al sostegno di diversi elementi:
- specializzazione geografica, con l’Italia relativamente poco presente nei mercati extra-UE in cui la frenata è stata più forte;
- strategie delle multinazionali, che hanno generato nuovi flussi di export, specie da alcune regioni italiane;
- politiche internazionali, per le opportunità create dai dazi USA di sostituire prodotti cinesi prima esportati negli Stati Uniti, per l’anticipo delle vendite nel Regno Unito scontando una Brexit al 31 ottobre, per gli accordi commerciali con importanti paesi come il Giappone.
In particolare, si stima che l’innalzamento delle barriere tariffarie USA contro la Cina abbia consentito all’Italia una maggior crescita delle esportazioni nel mercato americano dei prodotti colpiti dai dazi di circa 7 punti percentuali nei tre trimestri successivi all’introduzione dei dazi.
I comparti dei beni intermedi e di investimento hanno registrato performance deboli quest’anno, perché più integrati nelle catene globali del valore. La crescita dell’export è stata determinata unicamente dai beni di consumo: farmaceutico, abbigliamento-pelletteria, alimentare-bevande hanno registrato ottimi andamenti.
In Italia l’anello debole è, oggi ancor più, la domanda interna.
- Consumi privati. I consumi delle famiglie sono caratterizzati, già da oltre un anno, da una dinamica fiacca. Diversi fattori, per lo più negativi, incidono sull’andamento dei consumi quest’anno e il prossimo, con l’effetto netto di portare la loro variazione poco sotto lo zero nel 2020, secondo lo scenario CSC. In positivo, agiscono le risorse provenienti dal Reddito di cittadinanza, ma con effetti più limitati e più ritardati rispetto a quanto inizialmente previsto che penalizzano l’uscita dei consumi dal 2019 e quindi, statisticamente, la variazione media per il 2020; e l’aumento dell’occupazione quest’anno, che contribuisce ad alimentare il reddito disponibile, ma con un effetto di breve durata, che dovrebbe quasi sparire il prossimo anno. In negativo, pesa l’aumento della propensione al risparmio, fenomeno sottolineato da tempo dal CSC e legato all’accresciuto motivo precauzionale; l’erosione del reddito disponibile nel 2020, a causa della riduzione dei redditi da interessi e di quelli derivanti dalla distribuzione dei profitti delle imprese; il già ricordato aumento delle aliquote IVA e delle accise, che erodono il potere di acquisto delle famiglie.
- Investimenti privati. Il tasso di crescita degli investimenti fissi lordi delle imprese è previsto rallentare progressivamente nel 2019 e nel 2020. Vari fattori tendono a frenare le decisioni di spesa degli imprenditori nel biennio di previsione, mentre altri agiranno in direzione positiva. A sfavore agiscono: l’aumento delle imposte indirette che, data la parziale traslazione sui prezzi, riduce profitti e liquidità delle imprese; un riassestamento in parte fisiologico, al ribasso, della spesa in beni capitali dopo gli incentivi degli scorsi anni. Inoltre, il calo delle attese delle imprese sulla domanda, sia interna sia estera, che è il principale fattore “determinante” degli investimenti, fa da freno nel 2019. Nel 2020, viceversa, l’ipotizzato rimbalzo tecnico della domanda estera dovrebbe agire debolmente a favore. La disponibilità di prestiti per le imprese, importante presupposto per attivare investimenti, avrà un profilo simile: è un freno nel 2019, ma è attesa recuperare nel 2020. Infatti, due degli elementi che quest’anno hanno pesato sull’offerta di credito sono in miglioramento: i rendimenti sovrani e le sofferenze bancarie.
- Investimenti pubblici. Il contributo del comparto delle opere pubbliche è atteso basso nel biennio di previsione. Potrebbero avere un effetto positivo sugli investimenti pubblici le modifiche contenute nella Legge di bilancio per il 2019 in materia di finanza locale e le misure previste dal DL Crescita e dal DL Sblocca cantieri, sulle quali però non ci sono ancora evidenze.
La finanza pubblica. Nonostante l’economia italiana sia ferma da più di un anno, i conti pubblici non ne stanno risentendo. Alcuni fattori hanno influito sui risultati di quest’anno, che appaiono migliori di quanto indicato nella NaDEF di inizio ottobre (deficit/PIL al 2,2 per cento). Questo permette di avere un deficit tendenziale per il 2020 che, anche senza aumento IVA, rimarrà sotto la soglia del 3 per cento del PIL.
Il miglioramento è dovuto:
- alla positiva dinamica delle entrate tributarie, sostenute dall’aumento degli occupati e dai positivi effetti dell’estensione della fatturazione elettronica che ha generato un recupero di evasione quantificabile a fine anno in poco meno di 5 miliardi;
- all’aumento di altre entrate extra-tributarie (i dividendi distribuiti da Banca d’Italia e Cassa Depositi e Prestiti per complessivi 3,1 miliardi in più rispetto a quanto previsto dal Governo nel DEF);
- alla minore spesa per interessi che, rispetto a una situazione in cui i tassi fossero rimasti ai livelli della prima metà del 2019, porterà risparmi stimabili in 3 miliardi quest’anno e ulteriori 3,8 nel 2020;
- ai risparmi su Quota 100 e Reddito di cittadinanza che toccheranno i 2,6 miliardi di euro nel 2019 e i 3,4 miliardi nel 2020 e che sono legati al minor utilizzo degli strumenti rispetto a quanto previsto al momento della loro introduzione.
Il nuovo Governo, nella NaDEF, assume un quadro meno favorevole per il 2019 e più favorevole per il 2020 rispetto a quanto stimato dal CSC. Un tale profilo permetterebbe di realizzare un marginale miglioramento strutturale della finanza pubblica tra il 2019 e il 2020, ma andrà verificato alla luce delle stime di crescita economica e delle coperture, oggi ancora basate su ipotetici tagli e futuribili entrate. È probabile che vi saranno spese anticipate per la fine dell’anno.
Scenari di politica economica per l’autunno. Nell’impostare la Legge di bilancio per il 2020 bisogna tenere conto di una serie di fattori:
- una dinamica economica particolarmente debole sia a livello nazionale che internazionale. Ciò, da un lato, richiede misure adeguate a rilanciare la crescita, fondamentale per mantenere la coesione sociale e garantire la sostenibilità dei conti pubblici e, dall’altro lato, limita notevolmente la capacità di assorbire correzioni di bilancio consistenti. In particolare, l’Italia ha bisogno di rimettere il debito pubblico su un sentiero di riduzione, seppur graduale. Date le stime che ad oggi si possono fare sul tasso di crescita reale dell’economia e sul deflatore del PIL, difficilmente un rapporto tra deficit e PIL programmatico superiore al 2,2 per cento permetterebbe una riduzione del rapporto tra debito e PIL. Ma un aumento di quest’ultimo rapporto ci esporrebbe nuovamente all’attenzione del mondo, rischiando di vanificare il calo dei tassi che si è registrato in questa seconda parte dell’anno.
- la difficile gestione degli aumenti delle aliquote IVA e delle accise previsti dalle clausole di salvaguardia, che il precedente Governo ha incrementato con la Legge di bilancio per il 2019. Infatti, vista la dimensione degli aumenti previsti, sia la completa attivazione che lʼintero finanziamento a deficit avrebbero effetti negativi;
- la necessità di far scendere ulteriormente i tassi di rendimento sui titoli di Stato italiani. Gli ultimi sviluppi sono favorevoli. Dalla metà di agosto la discesa dei tassi sovrani in Italia ha raggiunto i minimi storici: 0,82 per cento sul BTP decennale, da 2,57 per cento nella prima metà del 2019. Rimane però ampio lo spread: con la Spagna a circa 70 punti base, con la Germania a 142;
- la necessità di adottare scelte di politica economica in accordo con i partner europei e le istituzioni comunitarie, per evitare tensioni che possono avere ripercussioni negative sui mercati finanziari. In questo senso, le indicazioni del Governo assumono che le istituzioni comunitarie concedano all’Italia molta flessibilità, che andrà negoziata.
Nel complesso, le azioni di politica economica devono riuscire ad invertire il segno del differenziale tra costo medio del debito pubblico e tasso di crescita dell’economia (Grafico D): oggi, con la discesa dei tassi, questo obiettivo è a portata di mano se le giuste politiche – attuate in modo graduale, in un orizzonte almeno triennale – riusciranno a spingere al rialzo la crescita. Oggi questo differenziale è favorevole in tutti gli altri 27 paesi dell’Unione europea.
A titolo esemplificativo si possono descrivere tre scenari di politica economica per l’autunno, del tutto ipotetici e ai quali non si attribuiscono specifiche probabilità di realizzazione. Tutti ruotano intorno al tema delle clausole di salvaguardia IVA.
- Il finanziamento tutto in deficit delle clausole di salvaguardia. In questo scenario, il Parlamento decide di non aumentare le imposte indirette finanziando interamente a deficit l’annullamento delle clausole. In questo caso, non si avrebbero effetti negativi diretti sulla crescita, ma il rapporto tra deficit pubblico e PIL arriverebbe pericolosamente vicino al 3 per cento e vedrebbe quasi certamente l’opposizione della Commissione europea che potrebbe avviare la procedura per disavanzi eccessivi. Ciò potrebbe causare un nuovo incremento dei tassi di rendimento sui titoli di Stato che retro-agirebbe sul deficit, aumentandolo ulteriormente e, inoltre, avrebbe effetti recessivi, perché peggiorerebbe le condizioni di accesso al credito per famiglie e imprese. Inoltre, non ci sarebbe nessuno spazio ulteriore per portare avanti politiche per la crescita.
- Il rispetto pieno delle regole europee. In questo scenario l’Italia rispetterebbe appieno la parte preventiva del Patto di stabilità e crescita. La correzione richiesta all’Italia sarebbe di 0,4 punti di PIL. La manovra correttiva sarebbe quindi di 1,1 punti di PIL, pari a circa 20 miliardi di euro. E il rapporto deficit/PIL scenderebbe nel 2020 all’1,7 per cento. Si tratterebbe di una manovra imponente, che potrebbe avere ampi effetti negativi e che impatterebbe su un’economia già fragile.
- Un percorso graduale di rientro del debito pubblico. Uno scenario intermedio rispetto ai precedenti potrebbe essere quello in grado di assicurare lo sforzo necessario per ottenere un rientro lento ma costante del rapporto debito/PIL spalmato su più anni, perseguendo politiche efficaci per aumentare il tasso di crescita dell’economia. Si potrebbe avviare un piano strutturato su tre anni proprio per evitare nell’immediato una politica eccessivamente restrittiva. È plausibile immaginare un quadro programmatico che fissi un obiettivo di deficit in grado di far scendere il rapporto debito/PIL sin dal primo anno. Per esempio, un rapporto deficit/PIL al 2,2 per cento, come quello programmato dal Governo, potrebbe assicurare comunque una stabilizzazione del rapporto debito/PIL nel 2020, anche con un tasso di crescita del PIL nell’ordine dello 0,2-0,3 per cento, ben sotto lo 0,6 per cento stimato nella NaDEF. Se il rapporto deficit/PIL scendesse all’1,9 per cento nel 2021, ottenibile con una manovra netta da 9,9 miliardi, il debito in rapporto al PIL scenderebbe di circa 1,4 punti. Nel 2022, con un rapporto deficit/PIL pari all’1,6, il debito scenderebbe di ulteriori 1,2 punti in rapporto al PIL e la manovra netta sarebbe di 3,6 miliardi.
C’è poi un quarto scenario, delineato dal Governo, di non attivazione delle clausole di salvaguardia e di una copertura in parte a deficit e in parte con ipotetiche maggiori entrate e minori spese. Sarà necessario attendere l’approvazione in Parlamento della Legge di bilancio per una valutazione. Un menù di possibili interventi coerenti con questi obiettivi e nell’ottica di un piano triennale può ricomprendere una serie di misure per sostenere la crescita e garantire la sostenibilità del debito pubblico italiano. Non si tratta di un programma organico, che ovviamente richiede diversi altri interventi e una valutazione complessiva delle compatibilità, né di proposte specifiche, ma solo di elementi utili ad alimentare il dibattito. Tra questi:
- il sostegno agli investimenti privati – dando continuità alle misure fiscali che si sono rivelate efficaci, come il rifinanziamento dell’iper-ammortamento per le spese d’acquisto di beni strumentali incorporanti tecnologie digitali, cercando di allargarle a investimenti che favoriscono la transizione verso la sostenibilità;
- lo sblocco degli investimenti pubblici – proseguendo nell’azione di sblocco dei cantieri ancora fermi per spendere le risorse pubbliche che sono state stanziate, anche completando l’attuazione delle misure adottate recentemente (Decreto Sblocca-cantieri) ed eliminando gli altri ostacoli ancora esistenti.
- l’avvio di una riforma fiscale – nella direzione di un alleggerimento del carico fiscale, specie quello che grava sul lavoro, sia mettendo più soldi in tasca ai lavoratori, per favorire l’offerta di lavoro e i consumi, sia riducendo il costo del lavoro per le imprese, per aumentare la competitività e la domanda di lavoro. Dati gli attuali stringenti vincoli di bilancio pubblico, ma vista l’urgenza di misure che massimizzino le prospettive di crescita del Paese, un’opzione percorribile appare quella di un intervento mirato e graduale, declinato su più fronti che stimolino lo sviluppo in ambiti tra loro complementari;
- un accorpamento delle aliquote IRPEF sui primi scaglioni, con conseguente rafforzamento dei redditi medi, soprattutto quelli da lavoro dipendente che sono attualmente penalizzati rispetto a svariati regimi sostitutivi per altre forme di reddito. Simulazioni condotte dal CSC con il modello EUROMOD mostrano che sostituire l’aliquota marginale nominale attualmente in vigore sul secondo scaglione IRPEF con l’aliquota del primo scaglione comporterebbe risparmi fiscali per il 56 per cento dei contribuenti IRPEF e un costo per lo Stato di circa 8 miliardi di euro. Questa ipotesi appare più ragionevole rispetto ad alternative di cui si è discusso nei mesi passati, quali: i) l’accorpamento del secondo e terzo scaglione IRPEF, che farebbe lievitare il costo di ulteriori 4 miliardi e comporterebbe risparmi per meno di un quarto dei contribuenti; ii) l’introduzione di un’aliquota al 15 per cento fisso fino a 55mila euro, che costa troppo (80 miliardi) oppure, se finanziata con l’abolizione del bonus 80 euro e delle detrazioni attuali, costa meno (17 miliardi) ma genera un aggravio di imposta per oltre 20 milioni di contribuenti prevalentemente a basso reddito;
- un intervento mirato sui redditi da lavoro dipendente per aumentare il netto in busta paga anche ai lavoratori con redditi tanto bassi da non pagare tasse, con l’introduzione di una vera imposta negativa che preveda trasferimenti anche agli incapienti se lavoratori dipendenti. Un’opzione per far arrivare più soldi in busta paga anche a quei 4 milioni di contribuenti lavoratori dipendenti incapienti, che oggi non pagano IRPEF e sono esclusi dal bonus 80 euro, senza un onere eccessivo per le finanze pubbliche, è quella di ridisegnare la struttura del bonus, prevedendo un phase-in che parta già dal primo euro di reddito, fino al raggiungimento dei 960 euro annui oggi previsti in corrispondenza del tetto di 8.174 euro di reddito complessivo. Il costo della misura si quantifica in 2 miliardi di euro aggiuntivi rispetto ai 9,5 miliardi già stanziati a regime per il bonus 80 euro. Aumentando il netto in busta paga ai lavoratori con redditi bassi ci si può aspettare un ampio impulso sui consumi (perché essi tendono ad avere una propensione al consumo superiore alla media) e sull’incentivo a lavorare (anche per individui con basse prospettive salariali e per i secondary earners, in primo luogo le donne sposate);
- il rafforzamento degli attuali incentivi fiscali sui premi di risultato, per stimolare ulteriormente la diffusione di schemi variabili di retribuzione e il raggiungimento di incrementi di produttività;
- l’ampliamento degli attuali incentivi all’inserimento lavorativo dei giovani, in termini di sgravi contributivi sia sulle assunzioni a tempo indeterminato che sull’apprendistato.
- un riordino delle aliquote IVA – nel caso si renda assolutamente necessario, per la tenuta dei conti pubblici e per evitare altre misure recessive, intervenire sull’attuale struttura dell’IVA, bisognerebbe finalizzare l’intervento sui singoli beni consumati prevalentemente dalle famiglie con redditi elevati, attenuando o comunque non aumentando l’incidenza dell’imposta sulle famiglie a basso reddito, che hanno tipicamente una maggiore propensione al consumo. Lʼanalisi distributiva mostra, infatti, come le imposte indirette siano regressive se considerate in termini percentuali rispetto al reddito: le famiglie nel primo decile di reddito destinano oltre il 18 per cento del proprio reddito disponibile al pagamento di IVA e accise, le famiglie con redditi più alti (nell’ultimo decile) circa il 12 per cento. Nel paniere di spesa delle famiglie i prodotti alimentari e le bevande analcoliche hanno in media il peso maggiore: il 23 per cento del totale. Seguono: le spese per abitazione (consumi domestici e affitti) con il 14,4, il trasporto privato con l’11,5, l’abbigliamento e le calzature (8,2), mentre i servizi ricettivi e di ristorazione si attestano al 7,4 per cento. Guardando alla distribuzione dei consumi per decili di reddito, tuttavia, si nota che gli alimentari pesano quasi il 34 per cento del paniere nelle famiglie del primo decile, mentre solo il 14 per cento di quelle con redditi più elevati; al contrario, per queste ultime i beni durevoli rappresentano il 17 per cento della spesa, rispetto al 2 per cento per le famiglie a più basso reddito. Un aumento di un punto percentuale sia dell’aliquota IVA ordinaria che della ridotta (ma non della minima) colpirebbe oltre il 76 per cento dei beni consumati dalle famiglie. Assumendo una completa traslazione dell’aumento IVA sui prezzi, la spesa media per le famiglie crescerebbe di circa 169 euro l’anno. A parità di paniere di spesa, dunque, interventi di aumenti generalizzati delle aliquote IVA, sulla falsariga di quanto stabilito dalle clausole di salvaguardia, permetterebbero di incassare gettito per le casse dello Stato ma avrebbero effetti negativi sia sulla crescita dell’economia che dal punto di vista distributivo;
- l’introduzione di misure di contrasto all’evasione – in particolare con uno stimolo all’uso della moneta elettronica, scarsamente diffuso in Italia, da erogare attraverso la definizione di uno sconto fiscale a coloro che ne fanno ricorso; nell’ipotesi formulata dal CSC, si tratterebbe di un credito di imposta in percentuale del valore della transazione;
- l’acquisizione interamente a riduzione del deficit tendenziale dei risparmi derivanti dal minor utilizzo di “Quota 100” e del Reddito di cittadinanza, per i quali sono state stanziate somme superiori a quanto si stima necessario sulla base delle domande pervenute, con risparmi oltre quelli ipotizzati dal Governo nel DL 61/2019 e accantonati come “economie di spesa”. È importante che tali risparmi siano interamente destinati dal Governo a ridurre il deficit, come ipotizzato nello scenario previsivo CSC;
- un riequilibrio della tassazione sulle rendite finanziarie, attraverso un aumento della tassazione dei proventi sui titoli di Stato, al fine di recuperare risorse da destinare a un piano per la formazione e l’inserimento lavorativo dei giovani.
Il 2020 potrebbe rappresentare un anno di svolta per l’economia italiana a patto che il dividendo dei tassi di interesse ai minimi storici venga utilizzato per ricreare il clima di fiducia, rilanciare gli investimenti privati, avviare la riduzione del peso fiscale sui lavoratori e porre il debito pubblico su un sentiero decrescente. In attesa di un rasserenamento dello scenario geoeconomico internazionale.
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